La Commissione tributaria regionale per il Lazio 
                             Sezione 16 
 
    Riunita con l'intervento dei signori: 
        De Niederhausern Marco, Presidente; 
        Savo Amodio Antonino, relatore; 
        Benedetti Roberto, Giudice; 
    Ha emesso  la  seguente  ordinanza  sull'appello  n.  10240/2016,
depositato il 13 dicembre 2016,  avverso  la  pronuncia  sentenza  n.
21092/2016, sez: 7, emessa dalla Commissione  tributaria  provinciale
di Roma, contro la Banca nazionale del  lavoro  Spa  -  via  Vittorio
Veneto, 119 - 00187 Roma, difesa dall'avv. Escalar Gabriele  -  viale
G. Mazzini, 11 - 00195 Roma e contro BNP Paribas - piazza San Fedele,
1/3 - 20121 Milano, difesa dall'avv.  Escalar  Gabriele  -  viale  G.
Mazzini, 11 - 00195  Roma;  proposto  dall'appellante  Agenzia  delle
entrate - Direzione provinciale Roma 1. 
    Atti impugnati: diniego rimborso n. SIL/RIFIUTO IRAP 2002. 
 
                      Svolgimento del giudizio 
 
    L'Agenzia delle entrate propone appello avverso la sentenza della
Commissione tributaria provinciale di Roma, sezione 7,  26  settembre
2016 n. 21092/716, con la quale e' stato accolto in parte il  ricorso
di BNP Paribas e della Banca nazionale del lavoro avverso il silenzio
rifiuto formatosi  sull'istanza  di  rimborso  della  maggiore  IRAP,
versata per  l'anno  2002,  in  virtu'  dell'aumento  della  relativa
aliquota stabilito da alcune regioni. 
    La decisione impugnata ha motivato il proprio avviso  richiamando
la sentenza della Corte costituzionale n. 177/2014, che ha dichiarato
illegittimo l'art. 1, comma 5, della legge della Regione Lombardia 18
dicembre 2001, n. 27, che il suddetto aumento disponeva. 
    Per converso, si e' dichiarata carente di giurisdizione in ordine
alla connessa richiesta risarcitoria, richiamando le decisioni  della
Corte di cassazione, sezioni unite, 15 dicembre  1999,  n.  722  e  4
gennaio 2007, n. 15. 
    Con l'appello proposto, l'Agenzia delle  entrate,  postulando  la
legittimita' dell'IRAP incassata con l'aliquota del 5,25%, chiede che
venga riconosciuto alla controparte  il  diritto  al  rimborso  dello
0,50%, essendole stato applicato il tributo' nella misura del 5,75%. 
    Deporrebbe`in tal senso l'art.  16  del  decreto  legislativo  15
dicembre 1997,  n.  446,  che  consentiva  alle  regioni  di  variare
l'aliquota fino ad un massimo di un punto percentuale a decorrere dal
terzo anno successivo a quello di  emanazione  del  medesimo  decreto
legislativo. 
    In particolare, nonostante fosse  stata  prevista  con  la  legge
finanziaria  n.  289/2002  una  sospensione  della  maggiorazione  di
aliquote, gli aumenti disposti dalla Regione Lazio con propria  legge
13 dicembre 2001, n. 34, sarebbero  legittimati  dall'art.  1,  comma
175, della legge n. 311/2004, che  prevede  la  possibilita'  per  le
regioni di iniziare o riprendere la decorrenza  degli  effetti  degli
aumenti dell'addizionale IRAP in presenza delle finalita' di  cui  al
precedente      comma       174       (rispetto       dell'equilibrio
economico-finanziario). 
    Si sono costituite. in  giudizio  di  BNP  Paribas,  incorporante
della Banca nazionale del lavoro, e la  stessa  Banca  nazionale  del
lavoro, le quali, dopo  aver  ricostruito  il  tessuto  normativo  di
riferimento, osservano, preliminarmente, che si  sarebbe  formato  il
giudicato sul capo della sentenza che ha  riconosciuto  la  spettanza
del rimborso IRAP nelle Regioni Lombardia. Marche e Sicilia,  essendo
esclusiva  materia  del  contendere  la  maggiorazione  di  un  punto
introdotta dalla Regione Lazio con l'art. 5 della legge regionale  13
dicembre 2001, n. 34 per l'anno  2002;  l'acquiescenza  riguarderebbe
altresi', sia pure in parte, la  misura  di  quest'ultimo,  rimborso,
atteso che l'Agenzia delle entrate  assume  che  il  tributo  sarebbe
dovuto, ma  nella  misura  del  5,25%  (e  non  del  5,75%),  sicche'
sussisterebbe il diritto al rimborso, sia  pure  nella  misura  dello
0,50% (differenza fra 5,25% e 4,75%). 
    Assumono, quindi, in via principale, l'infondatezza dell'appello,
sostenendo che  l'aliquota  correttamente  applicabile  per  il  2002
sarebbe quella del 4,75%, sicche' avrebbero diritto  ad  ottenere  il
rimborso richiesto. 
    A cio' condurrebbe una lettura costituzionalmente orientata della
normativa regionale che l'Agenzia delle entrate assume applicabile. 
    In particolare, a nulla, rileverebbe, nella specie,  il  disposto
dell'art. 1, commi 61 e 175, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, in
quanto la determinazione della  maggiorazione  dell'1%  dell'aliquota
sarebbe anteriore alla norma teste' citata  e,  quindi,  non  sarebbe
ispirata dalle necessita' finanziarie  della  Regione  che  avrebbero
giustificato una siffatta operazione. 
    In via gradata,  le  appellate  chiedono  che,  ove  il  Collegio
ritenesse,  non  condivisibile  l'interpretazione   della   normativa
regionale come inapplicabile al 2002, e valevole,  quindi,  solo  per
gli anni successivi, venga valutata  la  non  manifesta  infondatezza
della questione di costituzionalita' dell'art. 5 della  citata  legge
regionale n. 34/2001, con  conseguente  rimessione  della  stessa  al
vaglio della Corte costituzionale. 
    Propongono,  altresi',  appello  incidentale,  aggredendo  quella
parte  della  sentenza  impugnata  che  ha  ritenuto  il  difetto  di
giurisdizione  del  giudice  tributario  in   ordine   al   richiesto
risarcimento del danno. 
    In proposito, invocano la  giurisprudenza,  di  segno  contrario,
della Corte  di  cassazione,  assumendo  che  le  sentenze  citate  a
sostegno  della  decisione  di  primo  grado  sarebbero  state   male
interpretate dalla CTP. 
    Nel merito, chiedono che vengano loro liquidate sia la differenza
fra il tasso di interessi legali e  quello  dei  titoli  di  Stato  a
breve,  sia  quanto  avrebbero  ricavato  da  un  impiego  presso  la
clientela  delle  disponibilita'  finanziarie  a  loro  indebitamente
sottratte. 
    Le appellate hanno altresi' prodotto memoria conclusionale, nella
quale  ribadiscono  quanto  esposto  nel  loro   precedente   scritto
difensivo. 
    All'udienza del 26 giugno 2017 la causa e' stata riservata per la
decisione. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    Come esposto nella precedente parte  in  fatto,  l'Agenzia  delle
entrate propone appello avverso la sentenza di primo  grado  che,  in
accoglimento del  ricorso  delle  contribuenti,  ha  riconosciuto  il
diritto di queste ultime all'applicazione  dell'aliquota  IRAP  nella
misura  del  4,75%,  in  luogo  di  quella  -   5,75%   -   applicata
dall'Ufficio. 
    Riconosce, peraltro, la  parziale  fondatezza  della  pretesa  di
controparte, limitando la sua pretesa all'applicazione  dell'aliquota
del 5,25%, ammettendo cosi' la spettanza di  un  rimborso  in  favore
della parte resistente, ma nella misura ridotta dello 0,50%. 
    Il  ragionamento  esposto  nell'appello  e'  che   l'aumento   in
questione sarebbe legittimato dall'art. 16 del decreto legislativo 15
dicembre 1997,  n.  446,  che  consentiva  alle  regioni  di  variare
l'aliquota fino ad un massimo di un punto  percentuale,  a  decorrere
dal terzo anno successivo a quello di emanazione del medesimo decreto
legislativo. 
    In particolare, nonostante fosse  stata  prevista  con  la  legge
finanziaria n. 289/2002 una  sospensione  della  maggiorazione  delle
aliquote (successivamente reiterata fino al 31 dicembre 2006), l'art.
1, comma 61, della legge n. 311/2004,  che  disponeva  l'ennesima  ed
ultima proroga, faceva espressamente salvo il disposto dei successivi
commi 174 e 175,  i  quali  consentivano  alle  regioni  di  disporre
l'inizio o la ripresa della decorrenza degli  effetti  degli  aumenti
dell'addizionale regionale, per far fronte ai disavanzi  di  gestione
accertati o stimati nel settore sanitario. 
    Di qui l'emanazione, da parte della Regione Lazio, della legge n.
34/2001, che prevedeva, appunto, l'aumento di  un  punto  percentuale
dell'aliquota. 
    Conseguentemente, in  detta  Regione,  per  ovviare  al  suddetto
disavanzo, l'aliquota, da applicare per il 2002 ai contribuenti  IRAP
ordinari, sarebbe stata fissata nel 5,25%, da intendersi  comprensiva
dell'aumento dell'1%. 
    Deporrebbe in tal  senso  la  disposizione  del  decreto-legge  7
giugno 2006 n. 206, che prevede una maggiorazione dell'1%  dell'IRAP,
per far fronte alla copertura dei disavanzi di gestione  del  S.S.N.,
in assenza di accordi fra Governo e regioni. 
    La pretesa  del  5,25%,  quindi,  si  baserebbe  non  solo  sulla
normativa regionale, ma anche  sulla  disposizione  nazionale  teste'
citata. 
    Passando ad  esaminare  il  motivo  di  appello,  deve,  intanto,
convenirsi con la difesa della parte resistente, laddove  rileva  che
le  doglianze  mosse  alla  sentenza  di   primo   grado   riguardano
esclusivamente  l'ambito  territoriale  della  Regione  Lazio  e,  in
secondo luogo, che e' oramai pacifico il diritto ad un rimborso,  sia
pur parziale, in  quanto,  a  fronte  del  versato  (in  applicazione
dell'aliquota del 5,75%), l'Agenzia delle entrate  riconosce  che  il
tributo era dovuto nella misura del 5,25%, sicche' in  ogni  caso  va
rimborsato il 0,50% di quanto corrisposto. 
    Nel  merito,  la  tesi  dell'Agenzia   delle   entrate   non   e'
condivisibile. 
    Deve, in primo luogo, sgombrarsi il campo dalle  disposizioni  di
legge nazionale impositive sopravvenute all'anno d'imposta  2002,  e,
segnatamente, a quella recata dal decreto  legislativo  n.  206/2006,
che, come si e' detto, prevede un aumento ex se dell'aliquota IRAP in
assenza di  un  accordo  Governo-regioni  finalizzato  a  far  fronte
all'eventuale deficit sanitario di queste ultime. 
    Trattasi, infatti,  di  norme  prive  di  efficacia  retroattiva,
sicche' esse non sono in  grado  di  determinare  il  carico  fiscale
dovuto,  appunto,  per  un  periodo  d'imposta  precedente  a  quello
considerato. 
    Depone in tal senso anche la ratio sottesa a  tali  disposizioni,
che era quella di ovviare  alle  criticita'  finanziarie  riguardanti
proprio il periodo temporale successivo a quello cui si  riferiva  la
contestata imposizione: lo testimoniano, in particolare, gli anni  di
riferimento recati dalle leggi citate a sostegno dall'appellante. 
    Deve ulteriormente richiamarsi il comma  174  dell'art.  1  della
legge n. 211/2004,  il  quale  fornisce  la  chiave  di  lettura  del
successivo decreto legislativo n. 206, innanzi citato, stabilendo che
le maggiorazioni di aliquota sono  operative  «con  riferimento  agli
anni  2006  e  successivi»,  nel  caso  di   mancata   adozione   dei
provvedimenti  necessari  per  il  ripianamento  del   disavanzo   di
gestione. Chiude il cerchio  normativo  l'art.  1,  comma  1-bis  del
medesimo decreto-legge n.  206,  il  quale  individua  esplicitamente
l'ambito   di   operativita',    immediata    dell'aumento    dell'1%
dell'aliquota  IRAP,  prevedendola  come   conseguente   al   mancato
raggiungimento, alla data del 30 giugno  2006,  dell'accordo  con  il
Governo sulla copertura dei disavanzi di gestione. 
    Quanto esposto porta a  concludere  per  l'assoluta  infondatezza
della pretesa impositiva, nella parte in cui la stessa fa leva  sulla
normativa statale. 
    Deve peraltro convenirsi con  la  difesa  della  parte  appellata
laddove rimarca che l'Agenzia delle entrate, nella  sua  esposizione,
cita in ordine sparso le  disposizioni  di  legge  sopravvenute,  con
l'unica giustificazione che tali indicazioni  tengono  conto  di  una
produzione legislativa statale, anch'essa di carattere «alluvionale». 
    Quello  che  e'  altresi'  certo  e'  che  l'appellante  tende  a
dimostrare  che  vi  sarebbero  due  distinte  fonti  normative   che
giustificherebbero la maggiorazione applicata nella  specie,  vale  a
dire una statale, costituita, appunto, dal decreto-legge n. 206/2006,
ed una regionale, rappresentata dalla legge del Lazio n. 34/2001. 
    Inoperativa la  prima  ratione  temporis,  per  quanto  detto  in
precedenza, rimane da esaminare la seconda. 
    Occorre preliminarmente evidenziare che  l'art.  45  del  decreto
legislativo n. 446/97 ha stabilito, per le banche  e  per  gli  altri
enti  e  societa'  finanziarie,  l'applicazione,  per  l'anno   2002,
dell'aliquota del 4,75%. 
    Tale  diversificazione,  fondamentale  per   quanto   si   andra'
successivamente ad  esporre,  e'  esplicitamente  riconosciuta  dalla
stessa Agenzia nel  suo  appello  (cfr.  pag.  9)  ed  e'  ripresa  e
sviluppata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 177/2014,  in
precedenza citata. 
    Va, poi, sgombrato il campo da un'ulteriore  obiezione  sollevata
dall'Agenzia delle entrate, vale  a  dire  che  l'operativita'  della
normativa regionale potrebbe  essere  stata  ripristinata  in  virtu'
dell'art. 1, comma 175 della legge n.  211/2004,  il  quale  prevede,
appunto, una ripresa della decorrenza  degli  effetti  degli  aumenti
IRAP oggetto  di  precedente  sospensione,  atteso  che  quest'ultima
riguardava, giusta l'art. 3, comma  1,  lettera  A)  della  legge  n.
289/2002, le maggiorazioni di aliquota, deliberate successivamente al
29 settembre 2002, mentre quella di cui si discute in questa sede  e'
stata deliberata nel  2001  e,  quindi,  non  rientra  nel  perimetro
operativo della legge finanziaria del 2005. 
    La precedente esposizione porta alla  conclusione  che  l'appello
dell'Agenzia  delle  entrate,  nella  parte  in  cui  si  basa  sulle
disposizioni statali, e' infondato, ma che,  correlatamente,  non  si
puo'  neppure  far   luogo   all'interpretazione   costituzionalmente
orientata proposta da controparte. 
    Occorre,  pertanto,  focalizzare  l'attenzione  sulla   normativa
regionale, anzitutto per verificarne la legittimita'. 
    L'art. 5 della legge regionale n.  34/2001,  piu'  volte  citata,
stabilisce, con dicitura  inequivocabile,  che  alle  imprese  dedite
all'intermediazione monetaria e  finanziaria  si'  applica  l'aumento
dell'1% dell'aliquota IRAP. 
    Cio' comporta che,  partendo  dall'aliquota  del  4,75%,  che  e'
quella applicabile a detti soggetti, si ottiene il  risultato  finale
indicato da parte appellata, vale a dire il 5,75% (percentuale  sulla
quale  la  medesima,  per  ragioni  prudenziali,  ha  corrisposto  il
tributo, salvo richiederne il rimborso in parte qua). 
    Ulteriore conseguenza e' che, a  fronte  di  un  cosi  chiaro  ed
inequivocabile dettato normativo, oltre  a  non  esservi  spazio  per
un'interpretazione diversa  da  quella  letterale,  assume  rilevanza
decisiva la risoluzione della questione  di  costituzionalita'  della
disposizione legislativa regionale. 
    Fatta questa precisazione in punto di rilevanza, deve aggiungersi
che la questione stessa non  appare  manifestamente  infondata,  alla
stregua  proprio  dei  principi  di  diritto  affermati  dalla  Corte
costituzionale nella propria sentenza 18 giugno 2014, n. 177, con  la
quale e' stato dichiarato non conforme a Costituzione l'art. 1, comma
5, della legge regionale della Lombardia 18  dicembre  2001,  n.  27,
che, con formula del tutto analoga e sovrapponibile  a  quella  della
scrutinanda legge della Regione Lazio, aveva fissato nella misura del
5,75% l'aliquota IRAP per gli istituti di credito. 
    Il Collegio, in particolare, dubita  che  l'art.  5  della  legge
regionale del Lazio n. 34/2001 si ponga in contrasto con l'art.  117,
comma 2, lettera e), della Costituzione, cosi'  conte  rilevato,  per
l'analoga legge della Regione Lombardia, dalla Corte costituzionale. 
    Nelle «considerazioni in diritto», effettuate nella  sentenza  di
quest'ultima, cui ci si richiama, il Giudice delle leggi  e'  partito
dall'art. 16 del decreto  legislativo  n.  446  del  1997,  il  quale
prevede un'aliquota generale IRAP del 4,25 per cento,  «salvo  quanto
previsto (...) nei commi 1 e 2 dell'articolo 45». 
    L'articolo, al comma 2, a sua volta sancisce (nel  testo  storico
in vigore dal 1° gennaio  2002  al  31  dicembre  2002)  che,  per  i
soggetti di cui agli articoli 6 e 7, tra cui le banche  e  gli  altri
enti e societa' finanziarie, «per i periodi d'imposta in corso al  1°
gennaio 1998, al 1° gennaio 1999 e al 1° gennaio 2000  l'aliquota  e'
stabilita nella misura del 5.4 per cento; per i due periodi d'imposta
successivi, l'aliquota e' stabilita,  rispettivamente,  nelle  misure
del 5 e del 4,75 per cento». Quindi per il 2002,  anno  d'imposta  in
relazione al quale veniva chiesto il rimborso  dell'IRAP,  di  cui  e
stato richiesto il rimborso, l'aliquota stabilita in via  transitoria
era pari al 4,75 per cento. 
    La norma che viene  specificamente  in  rilievo,  ai  fini  dello
scrutinio di legittimita', e' il comma 3 del citato art. 16,  secondo
cui «A decorrere dal terzo anno successivo a quello di emanazione dei
presente decreto, le regioni hanno facolta' di variare l'aliquota  di
cui al comma 1 fino  ad  un  massimo  di  un  punto  percentuale.  La
variazione puo' essere differenziata per settori di attivita'  e  per
categorie di soggetti passivi». 
    E' in particolare alla stregua  di  tale  disposizione  che  deve
essere risolta la questione di legittimita'  costituzionale,  tenendo
conto che, per giurisprudenza costante della Corte costituzionale, la
disciplina dell'IRAP rientra  nella  potesta'  legislativa  esclusiva
dello Stato, ai sensi dell'art.  117,  comma  2,  lettera  c),  della
Costituzione (cfr., per tutte, la sentenza n. 296 del 2003). 
    Risulta, pertanto, decisivo verificare,  in  ragione  dei  canoni
ermeneutici, se la facolta' di variare  l'aliquota  IRAP,  attribuita
alle regioni dal comma 3  dell'art.  16,  sia  limitata  all'aliquota
ordinaria o si  estenda  anche  a  quelle  fissate  dalla  disciplina
transitoria. 
    Depone nel primo  senso  la  corretta  interpretazione  letterale
della disposizione, che e' il primario (e, percio', da  privilegiare)
canone ermeneutico. Essa parla  -  non  a  caso  al  singolare  -  di
«aliquota di cui  al  comma  1»  e  dunque  non  puo'  che  riferirsi
all'unica aliquota espressamente fissata  in  quest'ultimo  comma,  e
cioe' a quella generale: le altre, che sono oggetto  di  un  semplice
rinvio sono pertanto estranee all'ambito di applicazione  del  coatta
3. 
    Questa lettura trova poi conferma nella relazione allo schema del
decreto legislativo n. 446 del 1997. 
    Nell'illustrare la riforma connessa all'istituzione dell'IRAP, il
legislatore delegato afferma: «l'aliquota di base e' fissata al  4,25
per cento; trascorsi due esercizi, le regioni potranno esercitare  la
facolta'  di  maggiorarla  fino  a  un  punto   percentuale,   e   di
differenziarla  tra  categorie  di  contribuenti  e  tra  settori  di
attivita'». 
    La possibilita' per  le  regioni  di  intervenire  solo  rispetto
all'aliquota ordinaria del 4,25 per cento  e'  ribadita  a  proposito
dell'art. 16, chiarendosi che esso «fissa, l'aliquota dell'imposta al
4,25 per cento, che  potra'  essere  maggiorata,  fino  ad  un  punto
percentuale,  dalle  singole  regioni  a  partire  dal   terzo   anno
successivo a quello dell'entrata in vigore del decreto legislativo». 
    Al contrario, con riguardo all'art. 45, sempre nella relazione si
afferma solo che «Con. l'art. 45 si dettano disposizioni  transitorie
relativamente al racconto IRAP dovuto per l'anno 1998 e alle aliquote
dell'IRAP  applicabili  per  i  primi  tre  periodi  di   imposta   a
particolari  soggetti»,   senza   alcun   riferimento   a   possibili
variazioni. 
    Anche la giurisprudenza costituzionale intervenuta in ordine alla
disciplina transitoria dell'IRAP e' nello stesso senso. 
    La sentenza n. 357 del 2010 ha affermato che  «il  chiaro  tenore
letterale dell'art. 16, comma 3, del decreto legislativo n.  446  del
1997 rende evidente che  alle  regioni  e'  consentito  variare  (nel
limite di un punto percentuale) solo «l'aliquota di cui al  comma  1»
dello stesso art.  16,  cioe'  solo  l'aliquota  base  e  non  quelle
speciali, tra le quali e compresa quella di cui al comma 1  dell'art.
45 dello stesso decreto legislativo n. 446 dei 1997, richiamata dalla
disciplina censurata». 
    La sentenza n. 21 del 2005, poi,  nel  ritenere  la  legittimita'
costituzionale di tale disciplina afferma: «La  ragionevolezza  della
transitoria differenziazione delle aliquote  disposta  dall'art.  45,
comma 2 del decreto legislativo n. 446 del 1997  risulta  (...),  dai
dati economici e contabili considerati dal  legislatore  in  sede  di
prima applicazione del tributo (...). La nota tecnica allegata,  alla
relazione governativa al citato decreto legislativo e  le  successive
indagini parlamentari evidenziano, infatti, uno «sgravio consistente»
apportato    dall'introduzione    dell'IRAP    per     il     settore
dell'intermediazione finanziaria e un «aggravio significativo» per il
settore agricolo. E' indicativo,  al  riguardo,  che  la  Commissione
bicamerale consultiva in materia di riforma fiscale,  in  esito  alle
indagini  empiriche  effettuate  sull'attuazione   dell'IRAP,   abbia
affermato, nella relazione finale del 29 settembre 1999, che, pur con
l'aliquota maggiorata, il vantaggio tratto dai settori finanziario ed
assicurativo dall'applicazione dell'IRAP  e'  stato  «superiore  alle
aspettative»  e  che  «l'impossibilita'  che  comunque  permane   di'
omologare totalmente il settore finanziario agli altri settori impone
che se ne tenga conto attraverso un'aliquota differenziata» (...). 
    Alla stregua delle conclusioni raggiunte, va pertanto disposta la
rimessione  alla  Corte  costituzionale  perche'  si  pronunci  sulla
legittimita' costituzionale dell'art. 5  della  legge  regionale  del
Lazio 13 dicembre 2001, n. 34 e della relativa tabella A (che riporta
le  variazioni  alle  aliquote  IRAP),  segnatamente  le  indicazioni
riguardanti il  «Quinto  gruppo»,  nel  quale  si  prevede  l'aumento
dell'1% dell'aliquota per le attivita' di cui al cod. ISTAT 65,  vale
a dire quelle riguardanti l'intermediazione monetaria e  finanziaria,
escluse le assicurazioni e i fondi pensione». 
    La rimessione  che  si  va  a  disporre  comporta  la  necessaria
sospensione del presente giudizio,  che  riguarda  anche  la  pretesa
risarcitoria  avanzata  dagli  istituti  di   credito   con   appello
incidentale, essendo anch'essa strettamente conseguente -  quantomeno
nel quantum riconoscibile a titolo di danno - alla definizione  della
questione principale che determina la  misura  dell'eventuale  dovuto
dalla parte soccombente a titolo di risarcimento.